È una democrazia?

24.11.2019

festeggiamenti perché l'HDP - partito filo curdo ha superato la soglia di sbarramento del 10%. Non proprio scene da Pyongyang.

Qualche settimana fa, ho sentito Corrado Formigli definire Erdoğan, il peggior dittatore. Mi sono allora domandato se davvero vivessi nella peggiore dittatura. La mia risposta, dopo un po' di tempo a pensare è stata che "no, non credo".

Quando si parla di dittatura in Turchia, si pongono a mio avviso almeno due questioni: la prima, la solita, riguarda la componente islamica. C'è sempre questa idea per cui l'Islam sia incompatibile coi diritti civili, la libertà, la democrazia. Falso. Ci sono stati epoche e paesi nei quali le libertà civili, le istituzioni democratiche esistevano e funzionavano. Il secondo elemento, per noi italiani, è l'associazione che troppo spesso facciamo, con il fascismo e la nostra esperienza nazionale.

La verità è che oggi in un numero consistente - ed in crescita - di paesi del mondo si stanno affermando queste democrazie illiberali - o democrature. Si tratta di sistemi misti in cui elementi democratici (es. elezioni) si combinano con elementi illiberali (repressione della stampa, censura su internet, imprigionamenti). Un modello chiaro, che personaggi come Putin (consiglio in tal senso la sua intervista rilasciata l'estate scorsa al Financial Times), Orban e, appunto, Erdoğan hanno deciso di perpetrare e rivendicare apertamente.

Non vuole essere questo un reportage sulla salute della democrazia turca: posso dire, brevemente, che l'immagine della Turchia quale peggiore dittatura non corrisponde a realtà. Secondo Freedom House, un istituto americano che si occupa di misurare gli indici di libertà dei paesi in tutto il mondo, la Turchia si colloca al 161esimo posto su 206 Paesi e Territori presi in considerazione. Peggio della Turchia ci sono Egitto, Cina, Corea del Nord, ma anche Venezuela, Iran, Russia. Ricapitolando, per Freedom House (ma forse non serviva) la Turchia non è un paese democratico, ma non è neppure il peggiore. Altri istituti che si occupano di questi argomenti mostrano gli stessi risultati. Le notizie dei giornalisti arrestati, il controllo dei canali classici di informazione, il blocco di alcuni siti come wikipedia (ma anche youporn, lol), le purghe tra militari, accademici ed oppositori politici parlano abbastanza chiaro.

Voglio però fare due considerazioni: la prima è che grazie ad una costituzione - pur modificata - e ad un'opinione pubblica solida, la Turchia presenta ancora un'architettura statale che ha resistito in alcune circostanze anche ad Erdoğan. Lo scorso marzo, ad İstanbul, si sono tenute le elezioni amministrative. Il partito di governo AKP, che governava ininterrottamente la città da più di vent'anni, aveva perso di misura, con uno scarto di circa 3000 voti. Il governo ha fatto di tutto affinché si ripetessero le elezioni, denunciando brogli contro il candidato di Erdoğan, l'ex Primo Ministro Yıldırım. Effettivamente, il Consiglio Elettorale Supremo (YSK) ha annullato il risultato di quelle prime elezioni. Il risultato è stato che, tre mesi dopo, il candidato del partito d'opposizione, Ekrem İmamoğlu è divenuto sindaco d'İstanbul, con uno scarto stavolta di oltre 700.000 voti. In questa occasione, anche il potentissimo presidente Erdoğan non ha potuto fare altro che accettare il verdetto; proprio lui che era solito affermare in pubblico "chi governa ad İstanbul governa la Turchia". Lontani i tempi da ventennio, con la nomina del podestà o le schede elettorali per il sì e per il no di colori diversi.

La seconda, ed ultima riflessone, si collega a quest'ultima osservazione. È chiaro che la Turchia non sia la Svezia; ed è chiaro che il clima si è fatto più oscuro negli anni, e no, questo regime non può definirsi democratico. Allo stesso modo, in tempi complessi come quelli che viviamo, anche la semplice categoria di Democrazia è difficile da definire. Il consenso di Erdoğan è reale, almeno lo è stato per tantissimo tempo. L'incapacità dei partiti di opposizione di creare un'alternativa credibile è stata altrettanto concreta, almeno fino all'arrivo di İmamoğlu. Leggevo in questi giorni la Storia d'Italia di Mack Smith: rilevava come spesso, anche durante il fascismo, molti provvedimenti di censura, poi si trasformavano in farsa: in questo siamo certamente simili. Bar e locali, dalla più controllata Taksim, si sono spostati in aree più decentrate come Karaköy, Kadiköy, Beşiktaş. Si continua a bere e fumare come dannati. Le notizie che non ascolti sulla TV nazionale, oggi le recepisci con qualsiasi strumento. Censura di internet? Tutti con VPN. Per Wikipedia e youporn. Ancora una volta, la capacità di resilienza dei turchi si dimostra enorme.

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